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Silvio Benedetto Benedicto
 
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Appunti visivi di un viaggio spirituale nell'Iliade di Omero

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Quando un artista è alle prese con una traduzione, sia essa da una lingua viva o morta ad un'altra, o da un codice verbale ad un codice cinematografico, teatrale, musicale, visivo pittorico o plastico, si trova davanti allo stesso problema, cosciente o incosciente che sia. E' possibile esprimere in un altro codice quello che l'autore ha voluto comunicare nel suo codice originario? Sebbene nell'ambito della linguistica valga l'adagio che ogni lingua, più o meno evoluta, è in grado di esprimere quanto la cultura che ha generato quel codice ha la necessità di comunicare, a distanza di secoli o in ambiti culturali diversi, sviluppatisi con stimoli ambientali differenti, sarà possibile veicolare gli stessi stati d'animo che hanno alimentato la stesura di un'opera d'arte? Se questo, forse, è possibile ad un livello medio del processo comunicativo e sempre nell'ambito della stessa tipologia di codice, cosa avviene quando si deve trasporre un contenuto da un codice verbale ad un codice visivo costituito da una diversa struttura sintattica e operante in ambiti semantici completamente differenti e per la maggior parte integrativi del codice verbale?

Così come avviene per la traduzione di un testo verbale in un altro testo appartenente ad un diverso codice verbale, avviene per la trasposizione del testo verbale in un testo visivo. Ad un livello medio della comunicazione è sempre possibile, in quanto i vari codici sono ricchi di possibilità comunicative generate dal vivere quotidiano. Sarà, dunque, possibile una trasposizione cinematografica di un romanzo o una traduzione teatrale di un'opera letteraria, ma quando il livello comunicativo è alto, quando si toccano le sfere delicate dell'anima e il sapiente e meticoloso mosaico sintattico orchestra polisemie armoniche che fanno continuamente vibrare le corde dell'essere spirituale, il pittore si trova davanti ad un compito arduo: tradurre, trasporre, traslare, interpretare o semplicemente rendere manifesto visivamente quanto coglie durante le profonde incursioni nel testo verbale. Se, addirittura, il testo non è originale e una prima operazione di traduzione è stata operata da uno scrittore precedente, la resa manifesta del narrato può trasformare l'artista nel "traduttor del traduttor dei traduttor d'Omero". Ma Silvio sa qual è il problema e non si pone neanche la "vexata quaestio", in cuor suo l'ha già risolta. Non c'è di bisogno di una trasposizione visiva dell'Iliade, né di una narrazione da cantastorie per gli animi più semplici. La sua Iliade è una riflessione contemporanea sui fatti narrati nell'epopea, sugli stati d'animo che così come allora, vive l'uomo, sull'essenza intima dell'essere che nel tempo acquisisce forme differenti, ma sostanzialmente appartengono alla stessa essenza. L'Iliade di Silvio Benedetto sono appunti visivi di un viaggio spirituale nell'epopea omerica. Così come Willard de Honnecourt o Johann Wolfgang Goethe hanno steso i taccuini dei loro viaggi fatti fisicamente, Silvio ha redatto, del suo viaggio spirituale, i propri appunti con il linguaggio che gli è più congeniale, quello pittorico, fermando sulla carta Fabriano 50x50 da 300 grammi le proprie emozioni, le proprie riflessioni, i propri ricordi, i suoi voli pindarici, prendendosi quelle libertà interpretative che nessun traduttore si sarebbe mai preso, come ha fatto nel pannello 23, con la presentazione del vitello mai nato o nel pannello 14, dove ha riassunto i libri XII, XIII e XIV con il suo ritratto, in un dolce e tenero sopore, accanto al corpo della compagna dormiente. Se il percorso viene letto in questa direzione, l'opera di Silvio è un'altra Iliade, un'opera dove le passioni sono trasposte nel vivere quotidiano, dove l'ambiguità di Ulisse non è tradotta, ma reinterpretata e presentata con la sintassi propria del linguaggio visivo, la simmetria o dove la sinossi del pannello 24 sostituisce la diacronia della narrazione omerica.

Il linguaggio pittorico è agile, fresco, quasi estemporaneo. Ora è lento e riflessivo, come nel pannello 2 dove Giove, con le sembianze di Nestore, viene in sogno ad Agamennone o nel pannello 14 dove il sonno coglie i corpi di Giove e di Era, ora è impetuoso e convulso, come nel pannello 17, dove i guerrieri greci difendono il corpo di Patroclo caduto sotto la lancia di Ettore o nel pannello 21, dove il fiume Xanto si avventa su Achille che facendo strage dei nemici ha riempito le sue acque di sangue, ora è emotivamente coinvolgente, come nel pannello 6 dove il pennello del maestro si adagia sul tenero abbraccio di Ettore al figlio Astianatte o nel pannello 18, dove le ancelle piangono il corpo di Patroclo, ora è rievocativo di un ricordo personale, come il macello del pannello 23 o di una situazione bellica contemporanea, come quella del pannello 2, dove fanno la loro apparizione gli elicotteri da guerra americani, ora si sofferma sulla ferocia degli uomini, come quella del pannello 20 e ora sulla violenza vindice della natura, come quella del pannello 21, ora l'autore completa l'evento con la metafora, come l'aquila del pannello 22 e ora permette alle proprie considerazioni personali ed esistenziali di sostanzializzare l'evento, come la vulva del pannello 10.

Nella sua multiforme originalità compositiva, il gesto si fa forma e non sempre figurativa, traducendo l'agone emotivo in "action" grafica che nel suo addensarsi o rarefarsi materializza o sublima l'accadimento, il quale acquisisce così oggettività semantica solo nel proprio dominio spirituale, senza mai rievocare l'evento narrato da cui trae origine.

L'impulso domina il gesto per cui questo difficilmente acquisisce autonomia significativa, in quanto la strutturale formazione figurativa emerge ogni qualvolta l'esigenza espressiva interiore si coagula in una forma spirituale definibile, ma acquisisce vigorosità autonoma, ogni qualvolta la forma generata diventa corollario di un contenuto già espresso o esigenza impaginativa di un insieme espresso con linguaggio figurativo dominante. La funzione attributiva del gesto emerge laddove questo si materializza solo come forza o energia asostantivata, come nelle acque del fiume Xanto del pannello 21, dove le cromie grigioazzurre si contorcono assorbendo i corpi degli uomini. Si materializza, ancora, nello spazio scenico del pannello 15, dove accoglie e partecipa dell'azione dinamica dell'eroe, laddove Patroclo uccide Sarpedonte e Automedonte sbroglia Balio e Xanto. Il gesto acquisisce, invece, vigorosità espressiva autonoma nel pannello 13, quanto ribadito con la lingua natìa ciò che sta generando, in un tutt'uno la rappresentazione dell'evento assorbe le peculiarità degli attributi emergenti dal colore naturale della terracotta e da quel materico rosso, campeggiante sul bianco, evocatore del fuoco appiccato alle navi e si completa con le espanse stesure cromatiche nero-fumo che assorbono le dimensioni dell'intero pannello.

Silvio è simbolico nelle sue scelte cromatiche, sceglie per gli eventi degli uomini l'azzurro, il colore freddo per eccellenza e con questo ne definisce le forme fisiche, le armi, le azioni, la gestualità, i visi corrucciati dagli eventi del quotidiano, il dolore e la paura, tutto ciò, insomma, che appartiene all'esistenza terrena dell'essere uomo. Sceglie, invece, il gialloarancio per l'evocazione, per l'apparizione divina o per l'evento sublime come quello rappresentato nel pannello 14, dove con le sembianze di Giove, l'Artista assorbito da una sonnolenza post coitum ci comunica che ciò che c'è di veramente divino negli uomini è l'amore.

Le gesta compiute sotto la rocca iliaca e tramandate oralmente fino a che un aedo dell'ottavo secolo a.c. non le ha dato forma scritta non potevano non suscitare nell'animo del Maestro ingenti emozioni ed estrarre dal suo bagaglio culturale, una copiosa quantità di forme stigmatizzate in una stratificazione di appunti grafici, che sono destinati a rimanere tali, a restare quella parte di taccuino di viaggio che non acquisterà mai valore storico, ma rimarrà diario intimo del proprio percorso spirituale. Solo alcuni di questi sono stati trasformati in pannelli ceramici e attraverso la terra e il fuoco sono stati impressi nella storia del piccolo paese che li ospita, Campobello di Licata, e in quella dell'Autore. Gli altri, testimoni della poliedrica abilità tecnica dell'Artista, stesi a matita grassa, a gouache, a olio e ad inchiostro, avranno, probabilmente, altra storia artistica, con la speranza che possano rimanere corpo unico, prima che le leggi del mercato ne smembrino i componenti precludendone la fruizione completa alle generazioni future. 

Ma il percorso spirituale Silvio non lo ha compiuto solo nell'opera di Omero, ma dentro se stesso. Attraverso la lettura delle gesta degli eroi che precedettero e furono la causa della caduta di Troia, in Silvio riemerge il proprio vissuto, i volti degli eroi acquisiscono i tratti fisiognomici delle persone che hanno riempito la sua vita quotidiana, che hanno contribuito al suo arricchimento come Uomo-Artista, che hanno calcato le sue scene di Uomo-Regista, che hanno segnato la sua vita sentimentale e le scelte di ogni giorno. Così qua e là, dal craquelere dell'ossido stannico emergono i volti cari anche a chi scrive di Olga Macaluso, di Luisa Racanelli, della figlia Flavia o del nipote Mariano, del padre Giovanni e della madre Adela, di Silvia di Blasi o di Alida Giardina e di altri con i quali al Maestro piace intrattenersi e di tanti altri ancora che ricorda sempre caramente nel suo vivere quotidiano.

L'operazione compiuta da Silvio è simile a quella che Raffaello ha fatto con la Scuola di Atene. Ma mentre l'Urbinate utilizza il quotidiano per rievocare la grandezza della scuola greca e paragonare implicitamente questa a quella, con la sua opera l'Artista siculo-argentino non indugia e non si compiace della grandezza delle gesta belliche e dell'ira generatrice degli eventi del Pelìde Achille, bensì, pone l'accento sull'essere Uomo con le componenti emotive e sentimentali che gli sono propri e che hanno da sempre guidato le sue azioni, come l'odio e l'amore, la gioia e la sofferenza, l'ira e il perdono, la vendetta e la compassione. Silvio Benedetto estrae dal corpus omerico l'Uomo con la sua caducità, con le sue emozioni e i suoi sentimenti, elevandolo al rango d'eroe, eroe di quel quotidiano che sommato giorno per giorno ha generato la storia. 

diego gulizia 

 

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