diego gulizia
 
 
 
Eros e thanatos
 
Opere
 

Eros e thanatos

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"La tua mano e il tuo amore, ti ha perduto, o infelice! Anche io ho una mano forte per questo, solo, e anche io ho l'amore, questo mi darà le forze per i colpi mortali. Io seguirò il morto e si dirà che io sia l'infelicissima causa e la compagna della tua morte; e tu che potevi essere strappato da me solo con la morte, tu non potrai essere allontanato da me con la morte." Queste sono le ultime parole che Tisbe pronuncia, nelle Metamorfosi di Ovidio, quando, dopo aver visto Piramo, il proprio amato, giacente a terra, suicida per averla creduta morta, sbranata da una leonessa, prende la stessa spada, ancora intrisa del sangue dell'amato, e se la conficca nella parte estrema del petto.
"Misero, di che godi? oh quanto mesti / fiano i trionfi ed infelice il vanto! / Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti) / di quel sangue ogni stilla un mar di pianto." Con queste parole, invece, il narratore presente di Torquato Tasso, nella Gerusalemme Liberata si rivolge a Tancredi allorché questi gioisce per aver colpito a morte, in duello, Clorinda, la donna amata, non avendola riconosciuta.

Nell'una e nell'altra opera l'amore e la morte sono compenetrate, una confina e sfocia nell'altra, non è possibile separare, nell'ambito dei sentimenti, il confine dell'una e dell'altra. Nella prima essa è scelta e soluzione alle avversità della vita che separavano gli amanti. Nella seconda la vittoria agognata, l'esultanza della vita si trasforma in morte allorché si percepisce che la vittima è la donna amata.

L'amore e la morte nella vita spirituale dell'uomo si sono sempre congiunti e la letteratura li ha fissati in maniera indelebile nella memoria dei popoli. Gli scrittori come i poeti, i pittori come gli scultori, i tragediografi come i musicisti, attorno a questa tematica hanno costruito opere immortali come il Piramo e Tisbe di Ovidio, il Tristano e Isotta di Wagner, il Romeo e Giulietta di Shakespeare, la morte di Clorinda per mano di Tancredi della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, il Paolo e Francesca del canto V della Divina Commedia di Dante, per non parlare di Amore e Morte di Leopardi e della Traviata di Verdi.

Ma eros e thanatos appartengono all'arte perché appartengono all'umanità. Essi sono componenti della vita, facce della stessa medaglia. In quanto forze opposte che regolano la vita sono state sempre oggetto di interesse della filosofia fin dall'antichità. E' possibile trovarle in Empedocle di Agrigento sotto forma di philia (forza creativa, amicizia, amore) e del suo opposto neikos (forza distruttiva, odio, discordia), così come è possibile trovarle in Freud sotto forma di libido, pulsione di vita e di desdrudo, pulsione di morte.

E' inutile dire che eros, in quanto forza creativa, élan vital, impeto, spirto guerriero di foscoliana memoria, libido freudiana, philia empedoclea, è la vita, l'istinto di vita. La vita nella sua interezza, nella sua sostanza e nella sua essenza. Vita come insieme di tutto quanto permette ad un organismo animale o vegetale di relazionarsi con il contesto in cui si trova, con l'ambiente e con altri organismi, di svilupparsi, riprodursi, conservarsi. Non una parte della vita vissuta o da vivere con sentimento, ma la vita nel suo completo manifestarsi, sotto e con qualsiasi forma, pulsione positiva che spinge ad espandersi, a immedesimarsi, a volte, con tutta la natura stessa, di cui essa è parte, in una specie di panismo assoluto o di empatia biologica.

Di contro thanatos, che nella mitologia greca personificava la morte, è il contrario, è l'impulso che porta allo spegnimento irreversibile di tutte le funzioni vitali degli organismi viventi, è la pulsione che spinge all'autoannullamento, al venire meno di qualsiasi manifestazione vitale. Esso, per Esiodo, è figlio della Notte (Nyx), mentre per Omero è fratello gemello del sonno (Hypnos). Per i greci esso è il nemico principale del genere umano ed è inviso anche agli immortali, ha un cuore di ferro e le viscere di bronzo.

Ma thanatos, contrapposto a eros, non è la morte, è il desiderio di morte. E' la coscienza di volere porre fine alla vita, il desiderio di spegnerla, l'impulso interiore ad annullare qualsiasi funzione vitale. Esso non è qualcosa di separato da eros, di altro, di scisso. Esso vive nell'eros ed ha ragione d'essere finché l'eros esiste, in quanto ne è la negazione.

L'arte che si avvale dei linguaggi visivi, pur essendo élan vital, libido allo stato puro, non è stata mai esente dal trattare questa tematica. Il Settecento letterario e artistico ha affrontato questa tematica producendo forse alcuni tra i più grandi capolavori che il genio umano abbia mai prodotto, come I Sepolcri di Foscolo e la Tomba di Maria Cristina d'Austria del Canova, per citarne solo alcune. Allorché i valori dell'occidente hanno cominciato a franare e la sicumera del pensiero occidentale, tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, ha cominciato a vacillare, a seguito delle sferzate inferte dall'Origine della specie di Darwin, dal Capitale di Marx, dalla Psicoanalisi di Freud e dalla Relatività di Einstein, le contraddizioni insite nella cultura europocentrica sono cominciate a scoppiare e gli occhi le hanno potuto leggere chiaramente. E allora la poetica si è affacciata conturbante tra le linee eleganti di Klimt, con la sua femme fatale, la tentatrice sensuale e distruttiva, oppure è affiorata nelle tematiche forti e disegnate con crudezza da Otto Dix, con la sua guerra e la morte al fronte, con i suoi reduci storpi e le deformità della bruttezza, oppure, ancora, in Egon Schiele, in Oskar Kokoska, in Jean Dubuffet o in Francis Bacon, per ricordare solo alcuni dei più rappresentativi del periodo.

La contemporaneità ha continuato a ritagliare spazi abbastanza ampi per la trattazione della tematica e le arti visive vi hanno contribuito con tutta una serie di manifestazioni presenti in tutta Italia. Ma la peculiarità di quella che ha come contesto il Sicilia Fashion Village di Agira, sta nell'essere trattata solo con linguaggi plastici da Leonardo Cumbo, Concetto Guzzetta, Natale Platania, Antonio Perniciaro, Gesualdo Prestipino, Giuseppe Raimondi e Mario Termini, un gruppo di artisti che opera o ha operato per lo più anche nell'ambito della didattica, oltre ad appartenere a quel ricco contingente siciliano d'avanguardia impegnato nella ricerca e sperimentazione di nuovi linguaggi visivi.

All'interno di un contesto che riecheggia agglomerati urbani di storica memoria, su strade pedonali pavimentate con autobloccanti che si insinuano tra le facciate dei nuovi fabbricati, tra le panche e gli alberi invasati che riempiono gli interstizi urbani, i testi plastici si pongono come momenti di sosta intellettiva, di riflessione, di distrazione dallo scorrere continuo degli occhi sulla merce esposta nelle vetrine, vivendo del contrasto eterno tra il thanatos della materia inerte, del bronzo, dell'acciaio cor-ten, dell'acciaio inox, della terracotta patinata, del vetro, del gesso, del legno, dell'argilla refrattaria, del silicone e l'eros delle forme, della loro tattilità, della loro potenza espressiva, del loro colore, dell'azione creatrice dell'artista che rende la materia viva e palpitante, veicolatrice di contenuti, latrice di significati, disvelatrice di stati d'animo, foriera di vissuti, testimone della capacità demiurgica dell'uomo.

Nelle opere di Leonardo Cumbo è possibile riscontrare una pregnante esigenza comunicativa, che definisce le forme come referenti dei propri contenuti interiori. Le opere, scaturite da una intensa ricerca plastica e pittorica, che spazia dai materiali tradizionali all'assemblaggio polimaterico, dalle tecniche tradizionali alle tecniche digitali, rimangono ancorate al proprio vissuto e permettono anche una lettura semplice delle stesse che, comunque, non ne esaurisce tutta la loro valenza artistica.

I lavori di Concetto Guzzetta vivono in una dimensione atemporale e ludica, sospesi tra l'essere, di cui mantengono le sembianze, e il possibile, generati dall'oggettivazione di una concettualità verbale che li sostiene e ne definisce l'apparente comprensione. Ma con il loro sincretismo svelano un ambito di significatività delle forme che non appartiene più alla natura, ma alla cultura, all'arte, la quale, attraverso questa poiesis genera quel lessico visivo che dilata le possibilità comunicative.

Natale Platania opera in un contesto visivo destrutturato, in un mondo di forme non cablate, ove ciascuna pone se stessa in maniera autoreferenziale. La realtà viene generata per accostamenti, senza interrelazioni, in maniera sommativa. Gli oggetti plastici, iperrealistiche anatomie, vengono posati, collocati per essere colti nel loro valore assoluto, senza connessione con l'intorno, affinché acquisiscano il valore di testimonianza visiva di una realtà il cui eloquio logorroico non ha valore comunicativo.

La ricerca di Antonio Perniciaro, muove dal pensiero visivo e ritorna ad esso attraverso la disamina delle componenti con i quali esso stesso viene oggettivato. Nel divenire oggetto, nel suo trasformarsi da noumeno in fenomeno, il pensiero visivo vive della materia e della forma che lo referenzializzano, perdendo una parte della ricchezza dell'intuizione originaria, ma acquistando, nel contempo, la qualità della poli-materia e della forma che lo sostanzializza.

La fascia o benda, in Gesualdo Prestipino, nella sua dimensione e nel suo sviluppo lineare , genera sempre un dentro e un fuori e sviluppandosi libera nello spazio, definisce oggettualità organiche, siano esse interpretabili come corpi umani, figure animali o altro. Ma quando essa definisce il vuoto, come nell'opera Spirale, perde la sua funzione configurativa per acquistarne una figurativa, con propria valenza plastica , veicolatrice di contenuti autonomi e referente non mediato del vissuto dell'artista.

Il fare creativo di Giuseppe Raimondi si avvale di una dimensione comunicativa sospesa tra l'ilarità e la parodia, operando in un contesto ove le forme assumono significanza in ragione dell'atteggiamento culturale del fruitore, riscoprendo figure dall'esistenza ambigua o risemantizzando oggetti dalla funzione scontata, attraverso una plastica seria centrata sulla ricerca polimaterica.

Nell'azione creativa di Mario Termini sembra non preesistere una forma oggettiva, referente di un concetto visivo. Davanti alle sue opere si ha l'idea che la forma sia il risultato di un addensarsi temporaneo della materia, mossa solamente dal virtuosismo fantastico e fissata, nelle sue sembianze, dalla verosimiglianza, dall'appartenere ad un mondo di forme possibili, referenti casuali di realtà esperite.
Diego Gulizia

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