diego gulizia
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Juan Esperanza
 
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Archeoiconologie

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"Quando ero bambino disegnavo come Michelangelo, poi ho impiegato una vita per imparare a disegnare come un bambino".

 

Questo pensiero di Picasso avevo in mente mentre Juan mi faveva vedere le sue opere. Conoscendo quello che ha fatto fino ad ora, la sua ricerca raffinata e carica di riferimenti a quella cultura cui è appartenuto, che gli appartiene e che si porta dentro, mi è sembrato di cogliere un altro aspetto dell'artista, più ripiegato a scrutarsi dentro, a ricercare tracce che "in nessuna delle lingue che, in un modo o nell'altro ho imparato a usare ci sono parole cui io senta di potermi esprimere completamente."

 

Si avverte nella sua produzione recente una specie di regressione infantile, una ricerca di forme elementari essenziali. Il bagaglio di immagini di cui è stata finora carica la sua cultura e che ha assunto forma di figure femminili plasticamente definite che "si deformano, si allungano, si gonfiano, si protendono minacciose verso l'osservatore", nel tempo hanno perso quella densità, quella freschezza, quel sapore antico, meditato, sedimentato per diventare più scarne e acquisire morfie umbratili, polimorfe, tentacolari. Adesso pare cha la traccia mnestica dell'artista si stia rendendo più rada, come se il cordone culturale al quale è rimasto legato avesse rallentato la nutrizione e lui avesse cominciato a scavarsi dentro, per ricercare segni elementari, appartenenti ad una dimensione comunicativa infantile, ad un mondo semplice di cultura figurativa scevra da stratificazione culturale.

 

Le immagini esili, in nero e ocra, strutturate su una superficie in maniera apparentemente casuale, occupano uno spazio plastico inesistente, annullato dalla tessitura dei caratteri tipografici dei giornali che emergono dal bianco del fondo. La rarefazione della componente spaziale interna a ciascun pannello si compensa con la configurazione spaziale esterna e l'opera diventa modulo di un'elaborazione visiva più complessa che acquisisce quella componente semantica che il pannello manifesta in forma affievolita. Le composizioni spaziali modulari, in forma rigidamente piana, danno complementarità ai vari elementi e li rendono, sintatticamente, componenti di una frase pittorica che potenzia il valore semantico dell'unità anche in funzione della composizione formale globale di cui fa parte.


L'altra componente fondamentale della sua poetica, la sessualità, più latente in passato, manifestatasi come accrescimento e palesamento degli organi sessuali femminili, con la scarnificazione delle forme, si è andata sempre più rendendo evidente, diventando preminente nel valore comunicativo dell'opera, a tal punto da acquisire connotazioni ancestrali, se non addirittura, nel processo regressivo che porta dalla civiltà progredita a quella primigenia, apotropaica o, di contro, propiziatoria. Di certo, le immagini si allontanano vieppiù dal loro aspetto rappresentativo, per acquisire valenze emotive che esprimono una dimensione esistenziale profonda, antica quanto la memoria inconscia dell'uomo o della razza a cui appartiene. Questi segni sono più vicini alle tracce lasciate sulla terra morbida dalla punta di un bastone o ai glifi sulla roccia segnati durante un rito da uno stregone, che tracciati dalla punta del pennello di un artista appartenente alla nostra civiltà.

 

Ogni volta che l'occhio dell'artista piuttosto che guardare fuori, com'è normale per l'arte figurativa, comincia a guardarsi dentro, diventa manifesta l'esigenza di ricercare nel proprio profondo, le tracce culturali filogenetiche. Così è ora per Juan e così è stato anche per Klee. Ma mentre la regressione linguistica di Klee era improntata all'individuazione dei segni elementari del codice visivo in Juan essa è improntata allo strutturarsi di essi in forma semantica essenziale, in frase visiva elementare, per cui diventa comprensibile che tra le diverse lingue che è stato costretto ad utilizzare "la pittura è il linguaggio cui io sento di appartenere maggiormente." Quanto all'artista profondamente radicato nella propria cultura comincia a venire meno il contributo della memoria cosciente, allora le sue mani affondano in quel sostrato di contenuti che sono la base culturale della razza umana e dona forma agli universali rendendo manifeste forme che la nostra civiltà ha relegato nell'ambito della produzione visiva infantile.

 

C'è voluto, veramente, una vita per disegnare come un bambino, …… cosciente.

diego gulizia

 

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